Il Procuratore di Catanzaro Gratteri, dopo il racconto sulla “carta bianca per la riforma della Giustizia” da lui concordata col Presidente del Consiglio incaricato Renzi che lo voleva nominare Ministro (vedi intervista di Floris nella trasmissione televisiva “Di Martedì” del 4 febbraio scorso e mio articolo critico su www.dirittoepersona.it ) ha rilasciato un’altra intervista alla giornalista Lucia Annunziata la domenica successiva , 9 febbraio, nella trasmissione televisiva “Mezz’ora in più”.
In questa seconda intervista il Procuratore ha teorizzato, fra l’altro, che i detenuti possono lavorare gratuitamente (“non ci sono soldi” ha spiegato) con grande beneficio dello Stato che così otterrebbe senza spesa manutenzioni di strade, ponti, fiumi e con reciproco vantaggio dei detenuti che attraverso il lavoro raggiungerebbero l’obbiettivo della loro rieducazione. In questo senso, secondo il Procuratore, il lavoro ha anche una funzione “terapeutica”.
Al Procuratore è sfuggito che in materia di lavoro dei detenuti il nostro Ordinamento si è molto evoluto nel tempo passando dalla concezione del lavoro come forma di espiazione della pena (Regolamento Penitenziario del 1931 e precedenti), al lavoro come forma rieducativa senza alcun carattere afflittivo e con obbligo di remunerazione (artt. 20 e seg. Ordinamento Penitenziario e artt. 47 e seg. Regolamento di esecuzione di cui al DPR 30 giugno 2000 n.230) . Ciò, peraltro, in perfetta armonia con normative sovraordinate come le “regole minime per il trattamento dei detenuti” (risoluzione ONU 30.8.1955 punti 71.1 e 76.1) e Raccomandazione R (2006) sulle “Regole Penitenziarie Europee”. Il nostro Ordinamento si è soprattutto evoluto con l’art 35 della Costituzione che “tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni” e con lo Statuto dei Lavoratori (legge 300/70) che tutela la dignità di chi lavora. Non si vede come questa dignità possa essere assicurata senza remunerazione. Non è più il tempo dei lavori forzati.
Da queste normative discende che il lavoro è un diritto per i detenuti cui corrisponde il dovere dello Stato di organizzarlo e garantirlo. Discende anche che il lavoro non è una “terapia” (come dice il Procuratore), perché il detenuto non è un malato bensì “solamente” una persona privata della libertà. A questa privazione non se ne possono aggiungere altre, quali celle strapiene, regimi carcerari durissimi, privazione della dignità ed ora, lavoro gratuito.
La richiesta del Procuratore di avere “carta bianca” per la riforma della giustizia si può considerare una “parola dal sen sfuggita”, una gaffe insomma, e perciò, con qualche sforzo, una dichiarazione scusabile. Ma sul principio del lavoro non retribuito, peraltro dettagliato convintamente nella sua esposizione, il dr Gratteri l’ha detta grossa. Se questo è uno dei propositi della “carta bianca” per la riforma della Giustizia siamo ad una concezione retrograda ed illegale perché in contrasto con la superiore legge costituzionale e le regole internazionali unanimemente condivise dagli Stati democratici.
Come Magistrato della Repubblica il Procuratore Gratteri non può, nel rapporto Stato/detenuto , far ricadere su quest’ultimo l’ incapacità o la non volontà del primo di trovare i doverosi finanziamenti per assicurare lavoro remunerato ai detenuti.
Concludo come ho iniziato il precedente articolo : “ Il Procuratore di Catanzaro Gratteri merita rispetto e ammirazione per la lotta che fa alla ndrangheta e per il conseguente rischio di vita che corre ogni giorno” . Ora però aggiungo che il Procuratore deve evitare di proporre soluzioni retrograde ed incostituzionali in televisione dove dalle sue labbra pendono le opinioni milioni di spettatori.
Forse questa maldestra proposta del Procuratore resterà inosservata ai più perché in tempo di populismo e giustizialismo dominanti, a chi importa dei diritti dei detenuti ?
Avv. Ernesto Mancini – Foro di Verona
12 febbraio 2020